Trama
Sicilia, 1905. Una piccola compagnia di Teatranti girovaghi, guidata da Giovanni Ricuccio Colombo, arriva, invitata dal sindaco, in Sicilia, in un piccolo paese di provincia.
Della compagnia fanno parte: due donne sempre pronte a voler primeggiare, un figlio indolente, che non vuole recitare; un cognato deluso, represso artisticamente; due fanciulle caratterialmente diverse. Tutti rassegnati agli umori di un burbero – ma sostanzialmente bonario e pieno di umanità – capocomico, a sua volta illuso prima, e deluso poi, da un lontano amore che improvvisamente ritorna a cancellare le sue certezze di uomo e di artista. E infine un giovane, dall’atteggiamento misterioso e inquietante, disposto a tutto pur di entrare a far parte della Compagnia. Ma l’amore sarà la svolta che farà scoprire le verità, che scioglierà il rancore, i dubbi, le perplessità e le gelosie dei protagonisti della vicenda.
Reale la ricostruzione storico/ambientale e sociale dei Tram elettrici a Catania, ad opera dell’amministrazione Giuseppe Giuffrida De Felice.
Come reale fu la dinastia dei Colombo, famiglia di teatranti girovaghi, di origine palermitana, il cui capostipite Giuseppe venne a Catania parecchie volte dal 1829 al 1844; (ASCT Int.Borb.). Colombo diede vita alla maschera popolare di Pasquino Tataranchio, e successivamente, alla maschera di Nofriu – seguitissima nelle vastasate che si tenevano all’interno delle baracche di legno situate presso il porto di Palermo, adibite a teatro nei mesi invernali. Infine, generazioni di artisti discendenti di Giuseppe Colombo (Camillo, Eugenio e Checchina), recitarono con Angelo Musco.
Benchè l’atmosfera della commedia sia comica – grottesca (ma a tratti anche amara ed emozionante), mi sta a cuore dire che ho inteso rendere omaggio alle dinastie di Teatranti siciliani girovaghi dell’epoca, alla loro precarietà di vita, apparentemente lontana da quella delle piccole compagnie amatoriali attuali, ma – per certi aspetti -ancora riscontrabile, che vivono con passione e onestà intellettuale questo mestiere/missione.
Ancora, ho voluto umilmente onorare il grande Eduardo, prendendo in prestito una Sua frase, estrapolata dal famoso “Discorso – Testamento” che pronunciò a Taormina, il 15 Settembre 1984, poco prima della morte : “ Per il Teatro, vale la pena sbagliare, soffrire, non mangiare, non dormire, piangere, avere paura, cadere e farsi male,rialzarsi…”.